La pandemia è stata un’occasione per pensare ad una società più giusta? In questo senso come ha reagito il mondo del volontariato?
il mondo del volontariato era già in una fase particolare della sua vita perché siamo dentro il percorso della riforma del Terzo Settore, che una fase di rilettura del presente pensando al domani. Purtroppo è stato fino a poco tempo fa un’occasione in parte persa perché più concentrata agli adempimenti amministrativi che a riverificare la propria missione  e aggiornarla al tempo presente e futuro. Dentro questa fase erano già emerse due criticità.

Quali?
Intanto il poco ricambio generazionale che sta caratterizzando le nostre organizzazioni: rigenerarsi internamente ed avere un ricambio non solo di persone ma anche di idee, di strumenti per leggere in modo diverso la realtà. In questi mesi c’è stato un avvicinamento del mondo giovanile ad investire risorse nell’emergenza. Poi bisognerà capire quanto questo avvicinamento sia un fidanzamento che diventa un matrimonio, o rimanga una frequentazione estemporanea.

E la seconda criticità?
La grande frammentarietà: noi abbiamo molte organizzazioni piccole e quindi con poca capacità di incidere su necessità e cause dei problemi, e quindi di spostarsi dalle persone di cui si occupano ad un’attenzione sull’intero territorio. La fase di pandemia ci ha invece permesso di creare reti che aiutassero a rispondere in modo più ampio (pensiamo a Milano Aiuta). Ora si tratta di capire come dare continuità a questa ridefinizione in termini istituzionali e di condivisione di risorse per fare in modo che questi soggetti abbiano strutturalmente una voce più forte e più consistenza nell’opinione pubblica.

La pandemia ci ha fatto capire che siamo tutti collegati, che il bene comune è anche sanità ed educazione. Siamo tutti un po’ vulnerabili e se la barca è la stessa ognuno deve prendersi la sua responsabilità e partecipare attivamente al mondo dell’impegno. Il problema però è che i giovani spesso non sentano casa propria quelle organizzazioni….
E’ vero, guardiano anche expo: è stato un acceleratore dello sviluppo del volontariato occasionale; qui c’è stata una grande disponibilità di giovani che però poi sono venuti meno.  Il punto è che il mondo del Terzo Settore pensava al coinvolgimento dei giovani in modo funzionale e con tempi e modalità che non reggono con la vita di un giovane. Se la proposta che viene fatta ad un giovane è di frequentare una casa di riposo alle 2 del pomeriggio non tiene, perché le sue disponibilità sono la sera e magari di occuparsi del sito internet da remoto. Un giovane magari può offrire competenze su aspetti in cui il mondo del volontariato fa fatica a sentire come parti fondamentali, come la comunicazione o i social media.  Ma appunto queste cose non sono meno nobili, chiedono semplicemente una sensibilità nuova di intendere l’impegno civile.

Milano sta avendo la capacità di attrarre tante forze giovani, molti ragazzi che vengono da altre regioni del nord o dall’estero o dall’immigrazione più difficile. Una grande sfida sarà quella di autorizzare i giovani ad esprimere una visione di mondo, ad essere profetici, si pensi ad un tema come quello dell’ambiente.
Su questo una delle esperienze fatte è stata quella di mettere a confronto sul tema dell’ambiente le organizzazioni di volontariato tradizionali rispetto a quelle legate ai mondi giovanili. La domanda è perché queste realtà non hanno avuto la capacità di intercettare questa forte sensibilità giovanile. Forse proprio perché i linguaggi che noi diamo per scontati non lo sono; a volte invece ci parliamo addosso e non siamo conosciuti fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. Se l’ISTAT dice che in Italia ci sono 6 milioni di volontari vuol dire che sono molto di più coloro che non lo praticano. Il dato è che quando parliamo abbiamo una platea che è un decimo degli italiani, la stragrande maggioranza ne sa poco.

E tra questa maggioranza a cui il Terzo Settore ha fatto fatica ad arrivare ci sono sicuramente anche i giovani. Poi è vero che la pandemia ha permesso di uscire da alcune autoreferenzialità e ha consentito nuove mobilitazioni…
In parte è vero. Rispetto ad alcune emergenze, come quello della povertà alimentare a Milano si diceva: non si muore di fame, però uno dei dati che in questi giorni emerge è quanto sia aumentata la povertà alimentare e quanto è lunga la fila delle persone davanti al pane quotidiano. In parte c’è stata una grande mobilitazione da parte degli enti pubblici, in parte una grande attenzione silenziosa di una solidarietà informale che non sempre siamo stati in grado di intercettare e leggere, spesso nella dimensione territoriale. Uno degli aspetti positivi della pandemia è stato l’accelerazione su tutte quelle forme di aggregazione territoriali, che sono state tessute e che hanno tenuto su in molti quartieri la dimensione sociale e questo è un risultato fondamentale.

E’ vero si sono rinforzati i legami di prossimità e di comunità, ma qui il convitato di pietra è la politica. Allora la domanda è come  oggi l’attore istituzionale può aiutare rispetto alla ricomposizione della società civile che a Milano è brulicante ma rischia di essere frammentata?
L’articolo 19 del codice del terzo settore dice che gli enti pubblici hanno la responsabilità della promozione del volontariato. E’ vero che Pubblica Amministrazione non è solo l’ente locale, ma la cabina di regia ce l’ha in capo l’istituzione pubblica locale che deve mettere in campo politiche in grado diffondere una cultura della cittadinanza responsabile. Per farlo l’istituzione deve cercare nel terzo settore un alleato e può farlo se lo considera pienamente partecipe nella costruzione del bene comune, con strumenti coerenti a questo obiettivo, in primis quello della co-progettazione.

Le policy dovrebbero avere la capacità di abilitare il terzo settore a potersi assumere delle deleghe di lettura e di risposta che l’istituzione non è in grado di dare, convocando la società civile a dei momenti in cui costruire una visione collettiva in cui ognuno riesca a collocarsi dentro un disegno di città più ampia.
Sì, perché noi del Terzo Settore spesso siamo concentrati sul nostro ombelico e non vediamo il resto del corpo. Il tema della governance del terzo settore è un problema è anche nostro, che si possa essere più attenti a tutto l’insieme di un territorio e non sono al nostro pezzetto. La pandemia ci ha aiutato in questo senso e ora la politica dovrebbe aiutare a creare le condizioni perché questo avvenga in modo più strutturale.

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